IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 1o marzo 2000 nella causa di lavoro intentata da Mei Antonella, rappresentata e difesa dall'avv. Giorgio Bellotti del foro di Firenze, giusta procura rilasciata a margine del ricorso, e domiciliata presso la Camera del lavoro di Prato, piazza Mercatale n. 89 - ricorrente - contro Poste Italiane S.p.a., in persona del Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giovanni Landi e Antonio Sapia, giusta procura rogata dal notaio Pierluigi Ambrosone di Roma in data 13 aprile 1999, e domiciliata presso la filiale Poste di Prato, via Martini - convenuta - osserva e decide quanto segue. 1. - Con ricorso depositato in data 22 ottobre 1999 Mei Antonella, premesso di essere stata dipendente delle Poste Italiane S.p.a., presso la filiale di Prato, sino al 3 novembre 1998: di essere rimasta incinta nel settembre 1998; di avere riscontrato che la Direzione provinciale del lavoro servizi ispettivi, su richiesta del ginecologo, aveva disposto l'anticipazione dell'interdizione obbligatoria dal lavoro con decorrenza dal 30 ottobre 1998; di avere subito un licenziamento per giusta causa irrogatole con lettera raccomandata 3-4 novembre 1998; di avere partorito due gemelli in data 18 maggio 1999: di non avere percepito l'indennita' di maternita' per astensione obbligatoria posto che la societa' datrice di lavoro aveva applicato l'art. 17, comma 1 della legge 1204/1971, che esclude tale diritto in caso di licenziamento per giusta causa; di ritenere la norma in questione illegittima perche' in contrasto con l'art. 2 Cost., che tutela i diritti inviolabili dell'uomo, con l'art. 3 Cost, che pone il principio di uguaglianza sostanziale, con particolare riferimento all'indifferenza per le condizioni personali e sociali, con gli artt. 29 e 31 della Costituzione che tutelano la famiglia, anche sotto il profilo economico, con l'art. 37 della Costituzione che riconosce una adeguata protezione alla madre lavoratrice e al minore; di ritenere inoltre che la causa della cessazione del rapporto deve ritenersi irrilevante ove si consideri il riconoscimento dell'indennita' anche per le lavoratrici autonome; di ritenere la questione di illegittimita' costituzionale rilevante, posto che il diritto all'indennita' di maternita' le era espressamente precluso dalla legge; tutto cio' premesso, adiva questa giustizia affinche' il giudice, ritenuta non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 17, comma 1 legge n. 1204/1971 nella parte in cui esclude la corresponsione della indennita' per risoluzione e per licenziamento per giusta causa per violazione degli artt. 2, 3, 29, 31 e 37 Cost., rimettesse gli atti alla Corte costituzionale al fine di dichiarare sussitente la ritenuta incostituzionalita' della norma e, conseguentemente, condannasse le Poste Italiane S.p.a. al pagamento dell'indennita' per astensione obbligatoria per maternita' dalla data dell'anticipazione 30 ottobre 1998 a quella del terzo mese di vita dei figli (18 agosto 1999), con interessi e rivalutazione. Si costituiva ritualmente in giudizio la S.p.a.Poste Italiane depositando memoria nella quale veniva ribadita la correttezza dell'operato della societa', che aveva agito conformemente alla legge. Alla prima udienza il giudice si riservava. 2. - La prospettata questione di illegittimita' costituzionale non e' manifestamente infondata. L'art. 17, comma 1, legge 30 dicembre 1971, n. 1204, recita: "L'indennita' di cui al primo comma dell'art. 15 e' corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall'art. 2, lettera b) e c), che si verifichino durante i periodi di interdizione dal lavoro previsti dagli articoli 4 e 5 della presente legge". L'indennita' di cui al primo comma dell'art. 15 e' l'indennita' di maternita' per astensione obbligatoria. Il periodo di interdizione obbligatoria di cui all'art. 5 e' quello di interdizione obbligatoria anticipata (come nel caso di specie). La norma, prevedendo la corresponsione dell'indennita solo nei casi di risoluzione del rapporto di cui all'art. 2, lettera b) e c) esclude espressamente il caso della lettera a), e cioe' quello concernente il licenziamento per giusta causa. La disposizione in questione si palesa incostituzionale poiche' l'approccio punitivo che la contraddistingue contrasta con il carattere assistenziale dell'attribuzione: la tutela per la lavoratrice madre prescinde dai suoi meriti e demeriti e si fonda sullo stato obiettivo in cui si trova e sulle ragioni di ordine pubblico che trascendono l'interesse e il merito delle persone. L'art. 17, primo comma della legge n. 1204/1971 si pone quindi in contrasto con l'art. 31, secondo comma della Costituzione che impone alla Repubblica Italiana la protezione della maternita' e dell'infanzia, con l'art. 37, primo comma, che assicura alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione e garantisce alla donna lavoratrice le condizioni per consentirle l'adempimento della sua essenziale funzione familiare. Profili di incostituzionalita' per contrasto con l'art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) si pongono altresi' allorche' si compari il primo comma dell'art. 17 cit. con il secondo comma dello stesso articolo, che garantisce il godimento dell'indennita' di maternita' alle lavoratrici disoccupate subordinandola alla condizione che tra l'inizio della disoccupazione e quello dell'astensione obbligatoria non siano trascorsi piu' di 60 giorni, senza fare distinzione alcuna in ordine ai motivi del licenziamento. Dal combinato disposto delle due norme deriverebbero, da un lato, il diritto all'indennita' di maternita' della lavoratrice licenziata per giusta causa nei 60 giorni precedenti l'inizio dell'astensione obbligatoria e' dall'altro, la negazione del medesimo diritto alla lavoratrice per la quale il licenziamento per giusta causa e' intervenuto successivamente e cioe' nel periodo di astensione obbligatoria. La contraddizione sopra illustrata evidenzia una ingiustificata ed illogica disparita' di trattamento che viola il principio di uguaglianza e razionalita' tutelato dall'art. 3 Cost. 3. - La prospettata questione di illegittimita' costituzionale e' altresi' rilevante, atteso che l'accoglimento o meno della richiesta di condanna avanzata nei confronti della datrice di lavoro dipende dall'applicazione della norma censurata.